Oggi, la Politica è in sintonia con la Costituzione? Non si è, forse, ridotta a momenti di slogan e insulti? I valori di base esistono ancora? Una società senza valori può definirsi democratica? Quanto conta il Sud, per questa classe dirigente? Il giudice Di Lieto, il prof. Squame e l’intervento del Presidente Mattarella, a Trieste, ci possono aiutare a capire le turbolenze istituzionali e sociali?

Partendo da Di Lieto, Squame e Matterella, vogliamo aprire un dibattito, per una serena riflessione!

La nostro Italia! Da un’anali perfetta del giudici Di Lieti che merita una riflessione, ci chiediamo: è vero che il nostro Paese è forte coi deboli e debole coi forti?

Riteniamo utile e proficua una riflessione introduttiva al magnifico articolo del giudice Michele Di Lieto, ma, contemporaneamente, anche allegare l’articolo del prof. Giovanni Squame e l’intervento, a Trieste, del Presidente Sergio Mattarella. Non solo per far felice qualche amico, bensì per dare una informazione più completa, sul delicato momento che attraversa l’Italia.
Tra i tanti amici che ci scrivono e ci danno consigli, ce n’è stato uno che ha scritto: “Nicola, il fatto che mi invii l’articolo, pure in pdf, mi consente di seguirvi davvero, perché non ho Facebook.
Inoltre, le tue integrazioni e gli approfondimenti mi consentono di farmi un’idea chiara, visto che si basano su dati; ciò mi permette di confrontarmi anche politicamente, con gli amici della passeggiata. Inoltre, voglio dirti che mi piacciono molto le riflessioni del giudice, dott. Michele Di Lieto. Scrive ‘da Dio!’. Amico mio, continua così e mi fai felice”.
Non solo per far felice l’amico, ma anche per allargare il tema, davvero interessante, affrontato dal giudice Michele Di Lieto, ci permettiamo di allargare il confronto sui cosiddetti meccanismi istituzionali che si reggono, spesso, su sottili equilibri. L’articolo del prof. Giovanni  Squame affronta il tema del premierato, “Allegato 1”, mentre il discorso a Trieste del Presidente Sergio Mattarella parte dalla definizione di democrazia, dall’astensionismo e dall’esercizio della demagogia, “Allegato 2”.

Il Presidente Sergio Mattarella 

Guarda caso, anche Michele Di Lieto si sofferma su ciò che succede tra Sergio

Mattarella e Giorgia Meloni, ma non solo. Vien da chiedersi, leggendo la riflessione del magistrato: davvero è solo un rapporto fra istituzioni, ben tollerato?
Inoltre, il giudice Di Lieto si sofferma sul corpo elettorale francese che, con il 67%, ha detto no all’estremismo di Marine Le Pen, decimando anche gli aspiranti deputati a lei molto vicino; tra questi anche una vittima illustre, Marie-Caroline, la sorella di Marine, mentre ha detto sì al Fronte popolare (di sinistra) che vede Jean-Luc Mélenchon, “maggiore azionista”. Il leader della sinistra radicale, “France Insoumise” (La Francia Indomita), all’interno del “Fronte Popolare” ha 78 deputati, su 182 ( i socialisti ne hanno 62, gli ecologisti 28, il Partito comunista 9 e Generation 5). Il nuovo Parlamento francese è composto dal Fronte popolare, con 182 seggi, Ensemble (movimento politico liberale di Macron), con 168 e da 143 seggi del Rassemblement National (Le Pen).
Intanto, in Italia, maggioranza e opposizione, spesso, dimenticano che la democrazia è sovranità popolare. Il confronto dev’essere con tutti i rappresentanti del popolo, in Parlamento e nelle sedi istituzionali. Tutto ciò è contenuto nella nostra Costituzione che stabilisce, tra l’altro, che per garantire l’uguaglianza dei cittadini e permetterne lo sviluppo generale ed anche personale, tutti i parlamentari devono affrontarsi, nel rispetto delle regole del “gioco”, affinché trovino la giusta mediazione ai problemi.
Troppo spesso, questi signori non si richiamano alla Costituzione (qualcuno dice che non ce l’hanno nel sangue e nel cuore, perché considerano la Resistenza una brutta cosa) ed anche ai valori socio-culturali, perciò, valutano la democrazia un optional. A costoro non sono bastati 3 mila anni dalla “invenzione” di Pericle, che stabiliva il ruolo del “politico democratico”, nel contesto di una “democrazia compiuta”. Il regime alternativo alla forma di governo dove la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente dal popolo, è una “democrazia incompiuta” e, quindi, come è successo a noi nel Novecento e ad altri Paesi democratici, la democrazia è diventata ‘postdemocrazia’, cioè un potere pilotato da grandi lobby, che rischia di perdere parte dei caratteri costituenti, determinando l’affermazione di un’oligarchia, evolvendosi verso un regime di tipo elitario. Un principio secondo il quale il potere politico sarebbe sempre in mano a una minoranza che governa l’intera società. Tutto questo in Italia di fatto è successo, per l’assurda legge elettorale: il primo partito, con 18 milioni  di voti, sono i cittadini che non sono andati a votare, mentre il secondo è il Centro-sinistra, con circa 15 milioni di voti. che ha racimolato 163 seggi. Il terzo  è il Centro-destra, con circa 12 milioni di voti, che ottiene 235 seggi che gli consentono di governare, per l’assurda “legge Rosato” che vede un sistema proporzionale in collegi plurinominali, sulla base di liste bloccate.
Perciò, si scelga la strada alternativa: no agli insulti sì al confronto, cercando di ragionare su temi, per migliorare la vivibilità dei cittadini, con un concreto sviluppo socio-economico-occupazionale.
Quando ci si scontra sui tre poteri dello Stato: quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario, i cui ruoli sono esercitati, rispettivamente dal parlamento, dal governo e dalla magistratura, ci si dimentica che il tutto è ben scolpito nella Costituzione. Invece, si assiste, spesso, a dei meschini litigi tra gli attuali rappresentati del popolo, per ignoranza o sul niente, o per un “posto al sole”. Che vergogna!
Eppure, i Costituenti, dopo l’orrore del ventennio fascista, concepirono il sistema politico, in modo tale che la Repubblica Italiana fosse una democrazia rappresentativa e non di nominati, nella forma di repubblica parlamentare. Lo Stato è organizzato in base a un significativo decentramento amministrativo e non come una serie di “staterelli” nello Stato, il tutto per un piatto di lenticchie in più. Gli elementi che caratterizzano lo Stato democratico sono la sovranità popolare, il pluralismo politico e il riconoscimento anche sostanziali dei diritti di libertà e di uguaglianza. Il tutto messo in discussione dai recenti provvedimenti approvati da un Parlamento di “nominati”.
A proposito del presidente Mattarella, su “la Repubblica” del 10 luglio 2024, il prof. Giovanni Squame, già dirigente delle Autonomie locali, ha scritto un articolo dal titolo: “Mattarella ed i rischi del premierato” che, come è stato richiamato sopra, viene allegato, perché si completa con quello del giudice Di Lieto 
Nicola Nigro

Sergio Mattarella e Giorgia Meloni: rapporto fra istituzioni

di Michele Di Lieto*

Mi sono già occupato, sporadicamente nei volumi dedicati a “Fatti e fattacci” degli ultimi tempi, in maniera più specifica nel testo intitolato a “I governi del Presidente” (ottobre 2021, a pochi mesi dalla nomina  di Mario Draghi a Capo del Governo), di quella che appariva, e ancora oggi appare, una deriva, non più tanto strisciante, verso forme di governo presidenziale, lontane mille miglia dalla figura disegnata dai Padri costituenti.
Certo gli eventi collegati alla “cacciata” di Conte e all’ingresso di Draghi in politica hanno messo in chiaro, in maniera inequivoca, che i poteri esercitati da Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, erano ben diversi da quelli  di “notaio super partes” assegnati dalla Carta, assumendo toni più propriamente “politici” che, proprio perché “politici” non possono non essere di parte. Per risolvere la crisi, Sergio Mattarella aveva dinanzi a sé aperte tre strade: il reincarico a Giuseppe Conte (che sarebbe diventato titolare del Conte ter); l’incarico a persona di tutto rispetto, di alto profilo istituzionale, ed altri non poteva essere che Mario Draghi, acclamato da alcuni come un padreterno, salvatore della Patria, anche perché dotato di “entrature” a livello internazionale che Conte non aveva; il ricorso alle urne come extrema ratio per uscire dallo stallo. Delle tre strade Mattarella, come è noto, scelse la seconda. Ed esercitò poteri non limitati alla nomina del Presidente del Consiglio, ma estesi al procedimento di formazione del nuovo governo, imponendo egli stesso un programma che diventò a tutti gli effetti un governo a quattro mani.
Non era la prima volta che un Presidente in carica travalicasse i poteri assegnati dall’art. 92, e non solo dall’art. 92, della Carta costituzionale. Altri lo avevano fatto prima di lui, e lo stesso Mattarella ne aveva fatto uso e abuso nei due Governi Conte, nel primo optando per un governo composto dalla Lega e dal Movimento Cinque stelle, forze politiche che più diverse non c’era, nel secondo ratificando la sostituzione della Lega col Partito democratico, forze egualmente diverse, il M5S e il PD, e ponendo fine alla seconda esperienza Conte con la nomina di sua iniziativa di Mario Draghi a Presidente del Consiglio. Si tratta, come appare evidente, di atti che segnano inesorabilmente la deriva verso forme di governo presidenziale, di atti “politici” di cui bisogna chiarire la natura. A mio avviso, si tratta di atti politici di destra, pur con le incertezze che gravano nel linguaggio politico sui concetti di destra e sinistra. Intendiamoci.
Non è che Sergio Mattarella fosse (o sia) un uomo di destra, per giunta nascosta. E’ vero piuttosto che gli atti “politici” del Capo dello Stato hanno avuto, obiettivamente e guardati col senno del poi, l’effetto di facilitare l’ingresso delle forze di destra nel governo del paese, a partire dal connubio, del tutto anomalo, tra Lega e M5S, per finire al governo Meloni, che è un governo di destra, anzi di destra estrema, e vede alleati FDI, il partito di Giorgia Meloni, e la Lega di Matteo Salvini che  facevano parte della stessa coalizione. Si ponevano qui due problemi per Sergio Mattarella, entrambi gravi, sfociati in soluzioni entrambe opinabili.
Primo. Sergio Mattarella, avendo esaurito il suo mandato, pur essendosi pronunciato più volte in senso contrario, ha finito per accettare un reincarico che gli auguriamo lungo e efficace: ma un secondo incarico, destinato a durare altri sette anni, porterebbe Mattarella ad occupare la carica per quattordici anni, che sono troppi.
Secondo. Sergio Mattarella era stato eletto dal Parlamento, composto allora da maggioranze diverse, e ha finito per accettare il reincarico con una maggioranza parlamentare di destra, o di destra estrema, votata dalla maggioranza del corpo elettorale. Si poneva qui (e si pone) l’ulteriore problema se e fino a quando possa durare una coabitazione forzata tra l’esecutivo, espressione di una maggioranza diversa da quella che lo aveva eletto, e il Presidente della Repubblica, che ha esercitato (ed esercita) poteri che vanno al di là della moral suasion, unanimemente riconosciuta al Capo dello Stato, e sembrano più strettamente legati alle sorti del Governo Meloni. Così, per esempio, Sergio Mattarella non ha assunto una posizione decisa in materia di “premierato”, ma non si vede come possa fare opposizione un uomo politico che ha contribuito a quella deriva verso forme di presidenza sempre più lontane dalla Carta fondamentale, e costituiscono il precedente storico dell’istituto che fa parte del programma del governo Meloni.
In materia di “autonomia differenziata”, invece, Mattarella si è precipitato (solo sei giorni per esercitare un controllo di legalità costituzionale) a sottoscrivere e promulgare il provvedimento di legge, che costituisce il primo passo verso il nuovo ordinamento regionale, e fa parte, anch’esso, dei punti programmatici fondamentali del governo Meloni. Si tratta, come è chiaro, di atti destinati a durare nel tempo e innovano alla radice il tessuto della Carta costituzionale. E’ il caso di ripetere quello che ho sostenuto altrove: che tutto invecchia, invecchia anche la Carta: non c’è dubbio che debba essere modificata. Ma altro è la modifica, altro è l’innovazione radicale che non lascia nulla del vecchio per sostituirlo col nuovo: operando per giunta a forza di colpi di maggioranza che, in materie così delicate, non possono non coinvolgere le altre forze politiche. Si dirà che riforme come quelle proposte non sono più rinviabili, tese come sono a snellire la macchina dello Stato, e ad eliminare ritardi (ad esempio in materia di giustizia) non più tollerabili. E’ vero. E non si vede perché modifiche attuate in altri Paesi non debbano essere realizzate anche in Italia, purché si tratti di modifiche e vi siano coinvolte anche le minoranze.
In Francia, ad esempio, la Costituzione del ’58 ha subito ben dodici modificazioni nel corso degli anni ad opera del legislatore o a mezzo di referendum: e nessuno vorrà credere che ognuna delle modifiche attuate contenesse principi talmente innovativi da creare una nuova costituzione.
Ultima notazione: e riguarda sempre la Francia, dove pure si è posto ( in tempi recentissimi ) il problema se il Presidente della Repubblica ( nel nostro caso Emmanuel Macron ) possa o debba continuare ad esercitare le sue funzioni ( molto più pregnanti di quelle assegnate dalla Carta al nostro Presidente) quando venga eletta (o stia per essere eletta) una maggioranza parlamentare diversa da quella che lo ha sostenuto in precedenza: così, per restare all’esempio, se una maggioranza di destra venga eletta ( o stia per essere eletta ) a sostituire una maggioranza di centro della quale egli stesso era espressione. Macron non ha perso tempo: prima ancora dei risultati delle elezioni europee, e subito dopo gli exit poll che segnavano un successo schiacciante per la destra e la débacle del suo partito, Macron ha sciolto l’Assemblea e ha indetto nuove elezioni. Si badi che in Francia il potere di scioglimento é stato quasi sempre considerato un mezzo che consente, in caso del venir meno della maggioranza a sostegno dell’azione governativa, di chiamare i cittadini alle urne per la soluzione della empasse: e nessuno si è meravigliato della scelta  del Presidente francese. Certo, è stata una scelta coraggiosa ma assai rischiosa.
Di fronte al dilagare della destra, nessuno, o quasi nessuno, avrebbe pensato a un successo diverso. Macron aveva invitato i francesi a dire no a un governo di destra, e l’invito è stato accolto dalla maggioranza del corpo elettorale.
Il Ressemblement national, il partito di Marine Le Pen, ha ottenuto un terzo posto nella classifica dei partiti più votati, scalzato dal Fronte popolare (di sinistra) e da Ensemble, la coalizione che faceva capo allo stesso Macron. Non sappiamo se il risultato elettorale consenta o meno la formazione di un nuovo governo (di sinistra: e come se la sinistra è già divisa?). Ma l’iniziativa di Macron ha avuto successo e fatto chiarezza.
Il corpo elettorale francese, sia pure al secondo turno, ha detto no a Marine Le Pen.
E se Macron non ha raggiunto la maggioranza, poco ci manca. Certo, si tratta di un potere, lo scioglimento delle Camere, assai delicato. Che andrebbe da noi accuratamente disciplinato, soprattutto se dovesse passare il premierato, che già comporta un accentramento di poteri in favore dell’esecutivo a danno del legislativo e del Presidente della Repubblica. “Accuratamente disciplinato” significa che il caso, questo caso di scioglimento, deve essere espressamente considerato, e contenuto in limiti assai ristretti.
Ad evitare che un premier di pochi scrupoli possa aggiungere ai suoi il potere, assai pregnante, dello scioglimento indiscriminato delle Camere. Un invito, questo, necessariamente diretto al nuovo Costituente, che vale pure a definire l’ultimo, non meno importante, possibile contrasto fra poteri, al quale è dedicata questa nota.
*Scrittore e magistrato in pensione
5-Allegato 1_Squame-Mattarella ed i rischi del premierato
6-Allegato 2_ Discorso di Mattarella a Trieste

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